Italia – Nuovi cardinali: a colloquio con il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, SDB
Testo originale in ITALIANO, e a seguire sintesi tradotta in INGLESE, SPAGNOLO e FRANCESE
(Roma, 24 ottobre 2023) – Avrebbe avuto ottime possibilità di intraprendere con successo all’università gli studi in medicina, con una borsa di studio già predisposta per l’occasione. E nei mesi estivi – almeno per un po’ – avrebbe potuto così continuare ad aiutare il padre nella pesca nel golfo di Biscaglia davanti al villaggio asturiano di Luanco. Invece – alla fine degli studi medio-superiori – sentì il richiamo religioso, divenne salesiano… con incarichi di sempre maggiore responsabilità fino a quando nel 2014 fu scelto come decimo successore di don Giovanni Bosco, santo tra i più amati. Oggi Don Ángel Fernández Artime è anche cardinale di Santa Romana Chiesa, creato da Papa Francesco il 30 settembre scorso. In deroga al ‘motu proprio’ del 1962 di Giovanni XXIII non è stato ancora consacrato vescovo. Si presume che lo sarà dopo che il 31 luglio 2024 avrà rassegnato le dimissioni da Rettor Maggiore per assumere l’incarico prefigurato per lui da Papa Francesco.
Avevamo incontrato Don Ángel nel dicembre 2022 grazie alla possibilità offerta a una trentina di vaticanisti di conoscere i luoghi originari del carisma salesiano a Torino e dintorni. Giorni piacevoli tra la prima neve, tante scoperte storiche e artistiche, spirituali, sociali (le opere create a beneficio dei giovani in Piemonte e in tutto il mondo), anche gastronomiche. Al penultimo giorno la ciliegina sulla torta: l’incontro sostanzioso nei tempi e nei contenuti con il Rettor Maggiore. A distanza di una decina di mesi eccoci ora qui, davanti alla stazione Termini, a via Marsala 4,2 dove attorno alla Basilica del Sacro Cuore – anch’essa, come Santa Maria Ausiliatrice a Torino-Valdocco, voluta da Don Bosco – sorge uno dei luoghi salesiani romani più famosi…
Rettor Maggiore, Eminenza, introducendo con un saluto a Lei indirizzato la celebrazione eucaristica del primo ottobre scorso nella Basilica romana e salesiana del Sacro Cuore – era per Lei la prima Messa da cardinale - don Stefano Martoglio, il suo Vicario, ha espresso tra l’altro il senso di gioioso stupore suscitato dalla Sua nomina: “Tu, Angel, figlio di Angel e Isabel, fratello di Rocío, Figlio di Don Bosco per vocazione, chiamato al servizio della Chiesa ad un livello grandissimo di confidenza e di responsabilità”. In questa frase emerge in primo luogo la Sua famiglia…
Sono una di quelle persone per le quali le radici sono molto importanti. E io nelle mie radici porto un grande amore per la mia famiglia, con i miei genitori già in Paradiso – mia mamma da tre mesi - per la mia origine di pescatore, per il mio essere nato e cresciuto in un paesino di pescatori, per avere avuto in famiglia cinque generazioni di pescatori, per essere andato con papà in mare nei mesi di giugno, luglio, agosto, settembre da quando avevo tredici anni…
D’estate si pesca certo di più…
E’ il miglior momento dell’anno. D’inverno è molto difficile a causa del mare, il Golfo di Biscaglia. Tutto questo che ho ricordato, come può capire, è restato impresso nella mia carne e mi ha dato forma. Mi ha aiutato a crescere fisicamente, ma soprattutto ha stimolato la mia attrazione per la bellezza della natura, la mia sensibilità per il dono della vita… come quando vedevo papà rientrare la mattina dopo una nottata a pescare. Ho imparato fin da piccolo a ringraziare Dio per questi doni. La mia era una famiglia credente e mi ricordo bene che si recitava il Rosario con la nonna. Questo è stato il mio contesto originario di vita. Lo porto nel mio dna, lo porto nel sangue. Mi sento orgoglioso delle mie origini molto semplici, molto umili.
Nel saluto di don Martoglio in evidenza anche quel “Figlio di don Bosco per vocazione”…
Io non conoscevo i salesiani: sono andato a studiare da loro perché una turista ultrasettantenne che veniva d’estate a Luanco aveva sviluppato negli anni un’amicizia solida con mio padre. Un giorno – io avevo 12 anni – gli chiese che cosa pensasse del mio futuro. Papà rispose che io avrei fatto il pescatore come lui. Lei osservò che ero ben sveglio e che conosceva dei religiosi che si occupavano dell’istruzione dei giovani. I miei genitori obiettarono allora che non sarebbero mai riusciti a pagare la retta, ma lei li rassicurò: “Vedrete che non sarà così cara!”.
Come andò a finire?
I miei genitori accettarono di rinunciare ad avermi con loro tutti i giorni… fu una grande sofferenza specie per mia mamma. Sono così andato a studiare dai salesiani, a 200 chilometri da casa.
E poi, alla fine degli studi medi, cosa successe?
Avevo ormai ben preparato l’accesso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia. Per me era già stata stabilita una borsa di studio consistente, dato che i miei erano di condizione modesta. La medicina la sentivo come vocazione… la sento un po’ anche oggi dentro di me… penso che sarei stato un buon medico di famiglia! Nel contempo però allora sentivo anche, sempre più forte, l’esigenza di chiarirmi con me stesso, perché gli anni dai salesiani mi erano piaciuti molto … apprezzavo tanto il loro lavoro con i giovani. All’ultima estate al mare condivisi con i genitori i miei pensieri, prospettando di diventare un religioso salesiano. Papà e mamma mi dissero: “Figliolo, è la tua vita. Se questo ti renderà felice, va’… non preoccuparti per noi”! Se mio padre mi avesse detto invece: “No, Angel, avrò sempre bisogno di te, del tuo aiuto!”, io avrei rinunciato a diventare salesiano, avrei fatto il medico, d’estate avrei continuato ad aiutare papà. Il momento della domanda della turista e il ‘sì’ dei genitori, il momento della scelta religiosa e l’altro ‘sì’ dei genitori…. non posso non leggere nel nascere e nel concretizzarsi della mia vocazione due grandi interventi di Dio!
Parliamo del Suo stemma, che nella prima sezione dello scudo riporta una figura ben conosciuta…
La figura, molto cara a noi salesiani tanto che la portiamo nella croce che tutti indossiamo, è quella di Gesù Buon Pastore, che ritroviamo anche nelle catacombe di San Callisto. Datata agli inizi del III secolo, è presente dappertutto: negli affreschi, nei rilievi dei sarcofagi, nelle statue. Per noi il Buon Pastore incarna il dna di un salesiano. Nella seconda sezione dello scudo ecco il monogramma MA, Maria Ausiliatrice. Come don Bosco noi salesiani imploriamo sempre la sua protezione. Del resto è lei che ha fatto tutto per noi. Nella terza sezione vediamo l’ancora che per me ha un doppio significato. Da una parte sta nello scudo salesiano e vuole significare quella speranza e solidità che noi salesiani dobbiamo possedere; dall’altra l’ancora rimanda alle mie radici di pescatore, alla mia famiglia, al mio villaggio. Come ho detto, per me è qualcosa di molto importante.
Lo stemma riporta anche un motto: Sufficit tibi gratia mea…
È stata una scelta del tutto personale, perché esprime come mi sento e come mi sono sentito per tutta la mia vita fino ad oggi. Come salesiano ho vissuto quello che io mai avrei scelto. Ispettore, qualche anno anche in Argentina, poi Rettor Maggiore. Vivo adesso il cardinalato in obbedienza a una decisione del Santo Padre. Come ha detto il Signore a san Paolo: “Ti basti la mia grazia”.
Nella Sua biografia troviamo come da Lei accennato anche un periodo da Ispettore in Argentina dal 2009 al 2013. Lei può facilmente immaginare la domanda connessa…
Certo, ho conosciuto Papa Francesco come Cardinale Arcivescovo a Buenos Aires negli anni 2009-2013 quand’ero Superiore dell’Ispettoria in Argentina. Mai questa conoscenza “anticipata” me la metterò come una medaglia di merito. Con l’allora arcivescovo di Buenos Aires ho avuto un rapporto come è stato il caso per tanti altri, sacerdoti e religiosi, Provinciali compresi. Per me era comunque sempre bello riceverlo ogni 24 maggio quando veniva nella Basilica di Santa Maria Ausiliatrice nel quartiere di Almagro: in quella zona avevano vissuto i suoi genitori e lì era stato battezzato.
Papa Francesco L’ha ricevuta l’11 luglio scorso, dopo l’annuncio della creazione a cardinale. Per l’occasione Lei ha rievocato così l’udienza concessa al Capitolo generale salesiano che L’aveva eletta per il prìmo mandato da Rettor Maggiore: “Santo Padre, mi permetta di ricordarle una cosa: 10 anni fa, Lei mi disse: ‘Eh, gallego, che cosa ti hanno fatto!’. Adesso sono io a dirglielo: ‘Santo Padre, che cosa mi ha fatto Lei!’. Mi è venuta una curiosità: perché il Papa l’ha definita gallego se Lei non è della Galizia ma delle Asturie?
Il fatto è che per gli argentini ogni spagnolo è un gallego, perché le prime grandi migrazioni di spagnoli erano di galiziani… in Galizia c’era tanta fame, specie dopo la fine della Guerra civile. Un contadino con un piccolo pezzo di terra non era in grado di far vivere una famiglia con quattro o cinque figli. L’Argentina era un porto sicuro. D’altra parte in quegli anni era una potenza guidata da Juan Domingo Peron e generosamente aiutava la Spagna inviando frumento e burro. Lo sa anche che ogni italiano è chiamato tano? Perché?
…Non riesco a trovare il nome di una regione che suggerisca di usare tano…
Difatti tano è il finale di un appellativo che riguarda una città: Napoli. Napoletano è troppo difficile e lungo da pronunciare… Perciò gli argentini dicono tano per ogni italiano. E l’emigrazione italiana è stata la più numerosa in Argentina. Italiani e spagnoli sono popoli che hanno sperimentato sulla propria pelle gioie e dolori, speranze e delusioni dell’emigrazione…
Al centro del carisma salesiano stanno i giovani. Dopo nove anni di Rettorato Lei ha visitato almeno 110 Paesi…)
Saranno 120 a novembre, sui 135 in cui siamo presenti.
… Dunque ha conosciuto giovani di origini diversissime. C’è qualcosa di comune a tutti i giovani nel mondo? Alla recente GMG di Lisbona è emerso questo filo rosso, caratterizzato però da una fede profonda in Gesù Cristo. Nelle loro scuole e nei loro centri professionali i salesiani ospitano giovani di ogni provenienza… secondo la Sua esperienza c’è comunque qualcosa che unisce tutti nel profondo?
Sì. Le culture sono diverse, le lingue sono diverse, gli ambienti di vita sono diversi. Se confrontiamo la vita di un giovane della Cambogia, di uno di Madrid, di un terzo, un giovane indio Shuar dell’Ecuador la differenza è enorme anche in un mondo come il nostro, che è stato definito ‘villaggio globale’. Però, dopo quasi dieci anni di incontri in tanti Paesi, mi sono ormai convinto di una cosa: tutti i giovani del mondo, quando vedono che un adulto si avvicina con uno sguardo di amicizia, di apertura di cuore, si avvicina pensando al loro bene e per essere al loro servizio, si rivelano molto accoglienti. I giovani mai chiudono le porte. I duri siamo noi adulti, quelli che portano tante ferite di guerra nella vita siamo noi adulti… E’ vero: tanti giovani a volte si sono persi per i peccati strutturali del nostro mondo… però i giovani hanno un cuore accogliente.
Sto pensando a tanti giovani africani: perché emigrano? Non ci sono possibilità reali, concrete che possano restare nei loro Paesi per collaborare al loro sviluppo? Voi salesiani avete tante scuole e centri di formazione professionale anche in Africa… che cosa Le suggerisce la Sua esperienza? Tanti giovani seguono i pifferai magici che descrivono loro l’Europa come quell’Eldorado che spesso invece non è…
Bellissima domanda. Credo che la mia risposta sarà pure molto chiara. Parlo dapprima di noi Salesiani, che siamo presenti in quasi tutte le nazioni africane e cerchiamo di evangelizzare anche attraverso educazione e formazione. Sono delle priorità per noi. Sono stato in Africa tante volte da Ispettore…per esempio nel Senegal… Qual era e rimane la nostra intenzione? Fornire ai giovani una formazione adeguata in tre anni di studi, riuscire a dare a ciascuno uno scatolone con l’attrezzatura per poter lavorare, così che sia possibile per loro condurre una vita dignitosa, guadagnare qualche soldo, restare in contatto con la famiglia. L’abbiamo fatto e continuiamo a farlo. Infatti sono in tanti a non essere emigrati, perché grazie a noi - e a molti altri che lavorano come noi - hanno trovato una sistemazione onorevole.
Un servizio il vostro che è stato e resta preziosissimo… però, se passiamo a un livello generale africano, la situazione è diversa…
Bisogna aiutare in modo più incisivo lo sviluppo di tanti Stati africani. Gli investimenti fatti ad esempio dall’Unione europea, dando fiumi di denaro all’uno o all’altro Paese per costruire strutture che frenino l’immigrazione – insomma campi di migranti –sono destinati al fallimento poiché gli ospiti prima o poi andranno via considerate le prevedibili condizioni di vita nel campo. Per contro l’Unione europea dovrebbe considerare con più attenzione, con maggiore serietà gli investimenti sulla formazione professionale dei giovani, finanziando la rete di chi già opera in quel campo (lo ripeto: non siamo solo noi, siamo ormai in tante istituzioni!): questo è, secondo me, un investimento che darebbe molti buoni frutti! In sintesi: dobbiamo fare tutto il possibile perché le mafie non possano più portare per 2, 3, 5mila euro su barche artigianali persone che sono attratte dal presunto Eldorado che si chiama Europa.
Prima accennava a un’esperienza significativa, molto istruttiva, ancora in Senegal…
Sì, torniamo al Senegal, un Paese che conosco bene. Conosco anche le sue coste e l’incredibile cultura della pesca che si registra non solo in riva al mare. Ottanta anni fa, anche quaranta, nessuno avrebbe mai pensato a una emigrazione massiccia, dato che in Senegal la pesca dava da vivere dignitosamente. In anni più recenti, tuttavia, numerose flottiglie di pescherecci esteri – purtroppo ci devo mettere anche quelli spagnoli – hanno ridotto del 70% la possibilità di pesca dei senegalesi. Certo ciò è avvenuto attraverso accordi tra governi. Però la conseguenza è che i figli dei pescatori non hanno più in molti casi la possibilità di guadagnare quel tanto che basta per una vita dignitosa. Noi europei dobbiamo prendere veramente sul serio le nostre affermazioni sull’aiuto ai popoli africani in loco per evitare le migrazioni. Gli aiuti in dollari ai governi non servono. Perché invece – e lo ripeto - non investire invece nella formazione professionale dei giovani?
Passiamo alla condizione dei giovani europei: la loro quotidianità è diversa rispetto a quella di tanti coetanei africani, ma i problemi cui sono confrontati sono pure complessi e anche drammatici. Se pensiamo alla religione, da una parte sempre più giovani europei - bombardati da messaggi culturali individualisti che indeboliscono la persona umana (di cui si riduce pure la sacralità) attraverso un allentamento delle relazioni sociali e un indebolimento dell’identità anche sessuale – stanno perdendo la fede, rifiutando esplicitamente il cristianesimo o chiudendosi in un indifferentismo molto inquietante…
Quello che ha rilevato è certamente vero, ma per avere un quadro completo della complessa condizione giovanile europea oggi, che poi può portare alla perdita della fede, c’è da aggiungere un altro elemento essenziale: dobbiamo confrontarci con giovani fragili sì, eppure in genere molto più istruiti delle generazioni precedenti o almeno potenzialmente più competenti. Parlano più lingue e sanno muoversi molto di più al di là delle proprie frontiere, sono flessibili grazie anche all’utilizzazione di nuovi strumenti preziosi di conoscenza e operativi che ai nostri tempi non esistevano. E tuttavia questa generazione di giovani porta un macigno sulle proprie spalle: il proprio futuro …
In effetti come possono programmare la propria vita se molti di loro – non per scelta propria – vivono nella precarietà?
Secondo dati che sono frutto di indagini recenti, Spagna e Italia hanno un’età media di emancipazione dalla famiglia tra 28 anni e mezzo e 32. Ma a 32 anni si è uomini o donne, non si è più catalogabili tra i giovani! Si abita ancora con i genitori, perché non si ha modo di costruirsi una vita al di fuori della famiglia. Lo dico con dolore per la mia Spagna: il 40% dei giovani spagnoli non trova lavoro. In Italia meno, ma è sempre una percentuale molto alta. Manca la stabilità che consente la formulazione di un programma esistenziale. Certo non è una questione solo di lavoro, ma anche di senso della vita. A volte le scelte si devono fare… ma, se il futuro è incerto, si tende a rimandarle… con la conseguenza che nei giovani si sta affievolendo ad esempio il senso della maternità e della paternità. Davanti alle grandi scelte tanti giovani oggi sono titubanti, prendono tempo, perché non sanno quello che ciò potrà comportare per loro… anche il matrimonio, l’avere un figlio…
Questo dei giovani e dei loro problemi in una società fluida e contraddittoria come la nostra è un tema che meriterebbe un ancor maggiore approfondimento. Però questa intervista la dobbiamo pur concludere e allora non possiamo né vogliamo ignorare un tema che oggi ci lacera non solo per il dolore ma anche per l’apparente impossibilità concreta di ridurne l’impatto sulla quotidianità di noi tutti: il tema della guerra…
Questo tema ci fa soffrire. La penso come papa Francesco e altri che ne condividono il pensiero: stiamo vivendo una nuova Guerra mondiale, ma a pezzetti. Ho maturato nella mia vita una convinzione: nessuna guerra ha senso. Oggi se possibile ancora di più. Una volta le guerre erano più frequenti, ma paradossalmente meno pericolose. Tu trafiggevi con una spada chi ti stava di fronte, mentre adesso premi un bottone e puoi mandare un missile senza sapere chi e quanti ne ucciderai.
Nel dibattito pubblico spesso si osserva che non tutte le guerre sono uguali…
Ripeto: la guerra è assurda di per sé. Si può dibattere sulle colpe dell’uno e dell’altro, su chi ha incominciato e su chi ha reagito, sulla ferocia del fondamentalismo… ma la domanda (e constatazione) fondamentale resta una sola: quanti morti ci siamo già caricati sulle spalle in Ucraina, quanti soldati e civili ucraini e russi? E di quanti morti di ogni provenienza e di ogni età ci siamo caricati in Terrasanta con il terrorismo di Hamas e la risposta di Israele? Quanti morti? Quanti morti? Migliaia e migliaia. Ma ricordo che già una sola vita è sacra.
Realisticamente si può nutrire la speranza che un giorno le spade saranno spezzate per farne aratri?
Mi rendo conto che tutto quanto faremo nell’investimento per la pace non sarà mai abbastanza. Dico di più: mi fa male l’assenza di una azione più ferma, più determinata, più forte per la pace da parte di tanti governi, da parte delle superpotenze, da parte degli organismi internazionali. E sul dilagare del terrorismo – anche noi salesiani ne soffriamo in primo luogo in Africa, con molte vittime – non posso che ribadire: il terrorismo non ha nessuna giustificazione, nessuna. Per concludere: dobbiamo investire molto di più non negli armamenti, ma per dare la possibilità a tutti di vivere dignitosamente nei propri Paesi di origine, in Africa e non solo. In caso contrario le migrazioni si moltiplicheranno così come i drammi umani spesso ad esse legati. Già oggi - sentivo l’altro ieri la radio spagnola – il fenomeno coinvolge giornalmente ben più di cento milioni di persone. Non c’è dunque tempo da perdere: investiamo non in missili, ma nell’educazione e nella formazione professionale dei giovani, soprattutto là dove la carenza emerge impedendo loro di programmare un futuro di stabilità.
Giuseppe Rusconi
Fonte: Rosso Porpora
ENGLISH
Italy - New Cardinals: in conversation with the Rector Major, Fr Ángel Fernández Artime, SDB
(Rome, October 24, 2023) - He would have had an excellent chance to successfully pursue studies in medicine at university, with a scholarship already prepared for the occasion. Instead - at the end of his Higher Secondary studies - he felt the religious call, became a Salesian... with assignments of increasing responsibility until in 2014 when he was chosen as the 10th successor of Don Bosco, one of the most beloved of saints. TodayFr Angel Fernandez Artime is also a Cardinal of the Holy Roman Church.
In his greeting at his first Mass as Cardinal Fr Stefano Martoglio, his vicar, first of all referred to your family...
I am one of those people for whom roots are very important. And I carry in my roots a great love for my family, with my parents already in Paradise - my mother who died three months ago - for my origins as a child of a fisherman, for being born and raised in a small fishing village, for going with my dad to the sea in the summer months ever since I was thirteen...
Fr Martoglio also pointed out 'Son of Don Bosco by vocation'...
I had not known the Salesians earlier! I went to study at a Salesian School only because a tourist of about 70 years old who developed a strong friendship with my father over the years one day asked him what she thought of my future. My Dad replied that I too probably would be a fisherman. She remarked that I was smart and that she knew some religious people who were involved in educating young people. My parents then objected that they would never be able to pay the fees. But she reassured them: 'You will see that it will not be so expensive! So, I went to study with the Salesians, about 200 kilometres from home.
And then, at the end of middle school, what happened?
I was now well prepared to enter the Faculty of Medicine. Medicine felt like a vocation... I think I would have been a good family doctor! At the same time, however, I also felt the need to have some clarity! Because, I had enjoyed my years with the Salesians very much... During my previous summer at the seaside, I shared my thoughts with my parents, that I planned to become a Salesian religious. Dad and mum told me: 'Son, this is your life. If it will make you happy, go... don't worry about us!’
The moments of the tourist's question and the 'yes' of the parents, the moment of the religious choice and the other 'yes' of the parents.... I cannot but read the birth and realization of my vocation -two great interventions of God!
Let's talk about your coat of arms...
In the first section is the figure, very dear to us Salesians, of Jesus the Good Shepherd. For us, the Good Shepherd embodies the DNA of a Salesian. In the second is the monogram MA, Mary Help of Christians. Like Don Bosco, we Salesians always implore her protection. In the third one we see the anchor, which for me has a double meaning: on the one hand it stands in the Salesian shield and wants to signify that hope and solidity that we Salesians must possess; on the other hand, the anchor refers to my roots as a fisherman, to my family, to my village.
The coat of arms also bears a motto: Sufficit tibi gratia mea...
It was an entirely personal choice, because it expresses how I feel and how I have felt all my life until today. As a Salesian I have lived what I would never have chosen. Provincial, a few years in Argentina, then Rector Major. I now live the cardinalate in obedience to a decision of the Holy Father. As the Lord said to St Paul: 'My grace is sufficient for you'.
Exactly, and in the period in Argentina from 2009 to 2013...
Of course, I got to know Pope Francis as Cardinal Archbishop in Buenos Aires in the years 2009-2013 when I was Superior of the Salesian Province in Argentina. Never will I wear this 'advance' knowledge as a medal of merit. I had a relationship with the then Archbishop of Buenos Aires, as was the case for many others, priests and religious, including many other Provincials. For me it was always nice to receive him every 24th of May when he came to the Basilica of Santa Maria Ausiliatrice in the Almagro district. His parents had lived in that area and he had been baptized there as well.
At the heart of the Salesian charism are young people. After nine years as Rector Major you have visited almost 120 countries. Is there something common to all young people in the world?
Yes. Cultures are different, languages are different, living environments are different. If we compare the life of a young man from Cambodia, one from Madrid, a third -a young Shuar Indian from Ecuador, the difference is enormous even in a world like ours, which is often called a 'global village'. However, after almost ten years of encounters in so many countries, I have become convinced of one thing: all the young people of the world, when they see that an adult approach them with a look of friendship, an open heart, thinking of their good and to be at their service, they turn out to be very welcoming. Young people never close their doors, they have a welcoming heart.
I am thinking of so many young Africans: why do they emigrate? Are there no real possibilities to collaborate in the development of their countries?
I have been to Africa many times as a Provincial -for example to Senegal. What was and remains our intention? To give the young people a proper education in three years of study, to be able to give each one a box with the equipment to be able to work, so that it is possible for them to lead a dignified life, earn some money, stay in touch with their families. We did it and we continue to do it. In fact, there are many who have not emigrated, thanks to us - and to many others who work like us - they have found an honourable accommodation.
However, if we go to a general African level, the situation is different...
The development of many African states must be helped more incisively. The investments made by the European Union, for example, by giving streams of money to build structures to curb immigration - in other words, migrant camps - are doomed to fail. Since, the migrants housed in such structures will sooner or later leave -given the predictable living conditions in the camp. On the other hand, the European Union should look more carefully, more seriously at investing in the vocational training of young people, financing the network of those who already work in that field (I repeat -it is not just us, it is many institutions!). This is, in my opinion, an investment that would bear much fruit!
Let us turn to the condition of young Europeans: their everyday life is very different from that of many African peers, but the problems they face are also complex and even dramatic.
In order to have a complete picture of the complex condition of European youth of today, which can then lead to the loss of faith, one essential element must be added: we have to deal with young people who are fragile! -Yes, but generally they are much better educated than the previous generations or at least are potentially competent. They speak more languages and know how to move on. They are flexible thanks to the use of valuable newer tools of knowledge. And yet this generation of young people carry a boulder on their shoulders: it’s their own future ...
Indeed, how can they plan their lives if many live in uncertainty?
According to data from recent surveys, Spain and Italy have an average age of leaving from their parents as between 28.5 and 32. But at 32 one is a man or a woman, and cab no longer be classified among the young! One still lives with one's parents, because one has no way of building a life outside their family. Of course, it is not only a question of work, but also of the meaning of life. Sometimes you have to make choices... but if the future is uncertain, you tend to postpone them... with the consequence that young people's sense of motherhood and fatherhood, for example, is fading.
And on the subject of war...
This issue makes us suffer. I think like Pope Francis and others who share his thoughts: we are living a new World War, but in pieces. I have matured in my life a conviction: no war makes sense.
In public debate, it is often observed that not all wars are equal...
I repeat: the war is absurd in itself. One can argue about the faults of one or the other, about who started it and who reacted… about the ferocity of fundamentalism... but the fundamental question (and observation) remains one: how many dead have we already loaded onto our shoulders in Ukraine, how many Ukrainian and Russian soldiers and civilians? And how many dead of all origins and ages have we loaded ourselves with in the Holy Land with Hamas' terrorism and Israel's response? How many dead? How many dead? Thousands and thousands. But I am convinced: even one life is sacred.
Realistically, can one hold out hope that one day swords will be broken to make ploughs?
I realize that everything we do in investing for peace will never be enough. I say even more: I am hurt by the absence of a firmer, more determined, stronger action for peace on the part of so many governments, on the part of the superpowers, on the part of international bodies. And on the spread of terrorism - we Salesians also suffer from it primarily in Africa, with many victims - I can only reiterate: terrorism has no justification, none. To conclude: we must invest much more, not in armaments, but in giving everyone the chance to live with dignity in their countries of origin, in Africa and beyond. Otherwise, the thorny issue of migration will multiply, as will the human dramas that are often associated with it. There is therefore no time to lose: let us invest not in missiles, but in the education and professional training of young people, especially where shortages emerge preventing them from planning a future of stability.
ESPAÑOL
Italia – Nuevos cardenales: conversación con el Rector Mayor, Don Ángel Fernández Artime, SDB
(Roma, 24 de Octubre 2023) - Habría tenido excelentes posibilidades de cursar con éxito estudios de medicina en la universidad, con una beca ya preparada para la ocasión. En cambio, al final de sus estudios de secundaria, sintió la llamada religiosa y se convirtió en salesiano... con cargos de creciente responsabilidad hasta que en 2014 fue elegido como el décimo sucesor de Don Bosco, uno de los santos más queridos. Hoy, el Padre Ángel Fernández Artime es también cardenal de la Santa Iglesia Romana.
En el saludo pronunciado en su primera Misa como Cardenal, el Padre Stefano Martoglio, su Vicario, destacó en primer lugar a su familia...
Soy una de esas personas para las que las raíces son muy importantes. Y yo llevo un gran amor por mi familia, en mis raíces, con mis padres ya en el Paraíso, mi madre desde hace tres meses, por mi origen de pescador, por haber nacido y crecido en un pueblo de pescadores, por haber ido al mar con mi padre en los meses de verano desde que tenía trece años...
El Padre Martoglio siempre señalaba también "Hijo de Don Bosco por vocación"...
No conocía a los salesianos: fui a estudiar con ellos porque una turista septuagenaria que había desarrollado una sólida amistad con mi padre un día le preguntó qué pensaba sobre mi futuro. Papá respondió que sería pescador. Ella observó que era inteligente y que conocía a religiosos que se dedicaban a la educación de los jóvenes. Mis padres objetaron que no podrían pagar la matrícula, pero ella los tranquilizó: "¡Verán que no será tan cara!". Así que fui a estudiar con los salesianos, a doscientos kilómetros de casa.
Y luego, al final de la escuela secundaria, ¿qué sucedió?
Ya había preparado bien el acceso a la Facultad de Medicina y Cirugía. Sentía la medicina como vocación... ¡creo que habría sido un buen médico de familia! Al mismo tiempo, sin embargo, en ese momento también sentía la necesidad de aclarar mi situación, porque los años con los salesianos me habían gustado mucho... En la última vacación en el mar compartí mis pensamientos con mis padres, sugiriendo que quería convertirme en religioso salesiano. Papá y mamá me dijeron: "Hijo, esta es tu vida. Si esto te hace feliz, ve... no te preocupes por nosotros".
El momento de la pregunta de la turista y el "sí" de los padres, el momento de la elección religiosa y el otro "sí" de los padres... ¡No puedo leer de otra manera el nacimiento y la realización de mi vocación como dos grandes intervenciones de Dios!
Hablemos de su escudo...
En la primera sección está la figura, muy querida por nosotros, de Jesús Buen Pastor. Para nosotros, el Buen Pastor encarna el ADN de un salesiano. En la segunda, está el monograma MA, María Auxiliadora. Al igual que Don Bosco, los salesianos siempre invocamos su protección. En la tercera, vemos el ancla, que tiene un doble significado para mí: por un lado, está en el escudo salesiano y representa la esperanza y la solidez que los salesianos debemos tener; por otro lado, el ancla se refiere a mis raíces de pescador, a mi familia, a mi pueblo.
El escudo también lleva un lema: "Sufficit tibi gratia mea"...
Fue una elección completamente personal, porque expresa cómo me he sentido y me he sentido durante toda mi vida hasta hoy. Como salesiano, he vivido lo que nunca habría elegido. Inspector, algunos años también en Argentina, luego Rector Mayor. Ahora vivo el cardenalato en obediencia a una decisión del Santo Padre. Como el Señor le dijo a San Pablo: "Mi gracia te basta".
Exacto, ¿y en el período en Argentina de 2009 a 2013...?
Por supuesto, allí conocí al Papa Francisco como Cardenal Arzobispo en Buenos Aires, en los años 2009-2013, cuando era Inspector de la Inspectoría en Argentina. Nunca consideraré esta "anticipada" relación como un mérito. Con el entonces arzobispo de Buenos Aires tuve una relación, como fue el caso de muchos otros sacerdotes y religiosos, incluidos los inspectores. Para mí, siempre fue hermoso recibirlo cada 24 de mayo cuando venía a la Basílica de Santa María Auxiliadora, en el barrio de Almagro: en esa zona habían vivido sus padres y allí lo habían bautizado.
El centro del carisma salesiano son los jóvenes. Después de nueve años como Rector Mayor, visitó casi ciento veinte países. ¿Hay algo común a todos los jóvenes del mundo?
Sí. Las culturas son diferentes, los idiomas son diferentes, los entornos de vida son diferentes. Si comparamos la vida de un joven en Camboya, uno en Madrid, un tercero, un joven indígena Shuar de Ecuador, la diferencia es enorme, incluso en un mundo que ha sido llamado "aldea global". Pero después de casi diez años de reuniones en muchos países, me he convencido de una cosa: todos los jóvenes del mundo, cuando ven que un adulto se acerca con una mirada amigable, con apertura de corazón, acercándose, pensando en su bienestar y para servirles, resultan ser muy acogedores. Los jóvenes nunca cierran las puertas, tienen un corazón acogedor.
Estoy pensando en muchos jóvenes africanos: ¿por qué emigran? ¿No hay oportunidades reales para contribuir al desarrollo de sus países?
He estado en África muchas veces como Inspector, por ejemplo en Senegal. ¿Cuál era y sigue siendo nuestra intención? Proporcionar a los jóvenes una formación adecuada en tres años de estudios, lograr entregar a cada uno una caja con el equipo necesario para trabajar, para que puedan llevar una vida digna, ganar algo de dinero y mantenerse en contacto con sus familias. Lo hemos hecho y seguimos haciéndolo. De hecho, muchos no emigraron, porque gracias a nosotros y a muchos otros que trabajan como nosotros, encontraron un lugar honorable para vivir.
Pero, si pasamos a un nivel general en África, la situación es diferente...
Debemos ayudar de manera más efectiva al desarrollo de muchos estados africanos. Las inversiones realizadas, por ejemplo, por la Unión Europea, proporcionando grandes sumas de dinero a uno u otro país para construir instalaciones que frenen la inmigración, en otras palabras, campos de refugiados, están destinadas al fracaso, ya que los residentes eventualmente se irán dadas las condiciones de vida previsibles en el campo. En cambio, la Unión Europea debería considerar con más atención y seriedad las inversiones en la formación profesional de los jóvenes, financiando la red de quienes ya trabajan en ese campo (lo repito: no somos los únicos, ya hay muchas instituciones). En mi opinión, esta es una inversión que daría muchos frutos.
Pasemos a la situación de los jóvenes europeos: su vida cotidiana es diferente de la de muchos jóvenes africanos, pero los problemas a los que se enfrentan son igualmente complejos y a menudo dramáticos.
Para tener una imagen completa de la compleja situación de los jóvenes europeos hoy en día, que puede llevar a la pérdida de la fe, hay que añadir un elemento esencial: debemos enfrentarnos a jóvenes frágiles, pero en general mucho más educados que las generaciones anteriores o al menos potencialmente más competentes. Hablan más idiomas y se mueven más, son flexibles gracias al uso de nuevas y valiosas herramientas de conocimiento. Sin embargo, esta generación de jóvenes lleva una losa en sus hombros: su propio futuro...
De hecho, ¿cómo pueden planificar sus vidas si muchos viven en la precariedad?
Según datos recientes, España e Italia tienen una edad promedio de emancipación de la familia entre veintiocho años y medio y treinta y dos. Pero a los treinta y dos años, ya se es hombre o mujer, ya no se puede catalogar como joven. Aún se vive con los padres, porque no hay forma de construir una vida fuera de la familia. Claro, no es solo una cuestión de trabajo, sino también de sentido de la vida. A veces, se deben tomar decisiones... pero si el futuro es incierto, se tiende a posponerlas... con la consecuencia de que entre los jóvenes se está debilitando, por ejemplo, el sentido de la maternidad y la paternidad.
Y sobre el tema de la guerra...
Este tema nos hace sufrir. Comparto la opinión de Papa Francisco y de otros que comparten su pensamiento: estamos viviendo una nueva guerra mundial, pero a pedazos. A lo largo de mi vida, he llegado a una convicción: ninguna guerra tiene sentido.
A menudo, en el debate público, se observa que no todas las guerras son iguales...
Repito: la guerra es absurda por naturaleza. Se puede debatir sobre las culpas de uno y otro, sobre quién comenzó y quién reaccionó, sobre la ferocidad del fundamentalismo... pero la pregunta (y la constatación) fundamental sigue siendo una: ¿cuántos muertos hay en Ucrania, cuántos soldados y civiles ucranianos y rusos? ¿Y cuántos muertos de todas las procedencias y edades hemos causado en Tierra Santa con el terrorismo de Hamas y la respuesta de Israel? ¿Cuántos muertos? ¿Cuántos muertos? Miles y miles. Pero recuerdo que una sola vida es sagrada.
¿Se puede tener la esperanza realista de que algún día las espadas se conviertan en arados?
Me doy cuenta de que todo lo que hagamos en inversión por la paz nunca será suficiente. Digo más: me duele la falta de una acción más firme, decidida y fuerte por la paz por parte de muchos gobiernos, de las superpotencias y de los organismos internacionales. Y sobre la propagación del terrorismo, también nosotros, los salesianos, lo sufrimos en primer lugar en África, con muchas víctimas: no hay justificación para el terrorismo, ninguna. En resumen, debemos invertir mucho más, no en armas, sino para dar la oportunidad a todos de vivir dignamente en sus países de origen, en África y en otros lugares. De lo contrario, las migraciones se multiplicarán, al igual que los dramas humanos que a menudo las acompañan. Así que no hay tiempo que perder: no invirtamos en misiles, sino en la educación y la formación profesional de los jóvenes, especialmente donde la escasez impide que planifiquen un futuro de estabilidad.
FRANÇAIS
Italie - Les nouveaux cardinaux : entretien avec le Recteur Majeur, le P. Ángel Fernández Artime, SDB
(Rome, 24 Octobre 2023) - Il aurait eu d'excellentes chances d'entreprendre avec succès des études de médecine à l'université, avec une bourse déjà préparée pour l'occasion. Au lieu de cela - à la fin de ses études secondaires - il a ressenti l'appel religieux, il est devenu Salésien... avec des postes de responsabilité de plus en plus élevée jusqu'à ce qu'en 2014 il soit choisi comme dixième successeur de Don Jean Bosco, l'un des saints les plus aimés. Aujourd'hui, le P. Angel Fernández Artime est également cardinal de la Sainte Église Romaine.
Dans le salut prononcé pour sa première Messe en tant que Cardinal, le P. Stefano Martoglio, son vicaire, a tout d'abord rappelé sa famille...
Je fais partie des personnes pour lesquelles les racines sont très importantes. Et dans mes racines je porte un grand amour pour ma famille, avec mes parents déjà au Paradis - ma mère depuis trois mois - pour mes origines de pêcheur, pour être né et élevé dans un village de pêcheurs, pour être allé en mer avec mon père pendant les mois d'été depuis que j'avais treize ans...
Le P. Martoglio a également souligné « Fils de Don Bosco par vocation » ...
Je ne connaissais pas les Salésiens : je suis allé étudier chez eux parce qu'une touriste de plus de 70 ans qui avait développé au fil des années une solide amitié avec mon père lui a demandé un jour ce qu'il pensait de mon avenir. Papa a répondu que je serais pêcheur. Elle a remarqué que j'étais intelligent et qu'elle connaissait des religieux qui s'occupaient de l'éducation des jeunes. Mes parents ont alors objecté qu'ils ne pourraient jamais payer les frais de scolarité, mais elle les a rassurés : « Vous verrez, ce ne sera pas si cher que ça ! » Je suis donc allé étudier chez les Salésiens, à 200 kilomètres de chez moi.
Et puis, à la fin du lycée, que s’est-il passé ?
J’étais désormais bien préparé pour accéder à la Faculté de Médecine et de Chirurgie. Je sentais la médecine comme une vocation... Je pense que j'aurais été un bon médecin de famille ! Mais en même temps, j'ai aussi ressenti le besoin de me clarifier avec moi-même, car j'avais beaucoup apprécié mes années avec les Salésiens... Lors de mon dernier été à la mer, j'ai partagé avec mes parents mes pensées sur le fait de devenir religieux salésien. Papa et maman m'ont dit : « Mon fils, c'est ta vie. Si cela peut te rendre heureux, pars… ne t’inquiète pas pour nous » !
Le moment de la question de la touriste et du « oui » de mes parents, le moment du choix religieux et de l'autre « oui » de mes parents... Je ne peux m'empêcher de lire deux grandes interventions de Dieu dans la naissance et la réalisation de ma vocation !
Parlons de vos armoiries…
Dans la première section se trouve la figure, très chère à nous, les Salésiens, de Jésus Bon Pasteur. Pour nous, le Bon Pasteur incarne l'ADN du Salésien. Dans la deuxième on voit le monogramme MA, Marie Auxiliatrice. Comme Don Bosco, nous, les Salésiens, nous implorons toujours sa protection. Dans la troisième, nous voyons l'ancre qui pour moi a une double signification : d'une part elle est dans le bouclier salésien et veut signifier cette espérance et cette solidité que nous, les Salésiens, nous devons posséder ; de l'autre, l'ancre fait référence à mes racines de pêcheur, à ma famille, à mon village.
Les armoiries portent également une devise : Sufficit tibi gratia mea …
C'était un choix tout à fait personnel, car il exprime ce que je ressens et ce que j'ai ressenti toute ma vie jusqu'à maintenant. En tant que Salésien, j'ai vécu ce que je n'aurais jamais choisi. Provincial, également en Argentine pendant quelques années, puis Recteur Majeur. Je vis désormais mon cardinalat en obéissance à une décision du Saint-Père. Comme le Seigneur l'a dit à Saint Paul : « Que ma grâce te suffise. »
Exactement, et dans la période en Argentine de 2009 à 2013…
Bien sûr, j'ai rencontré le Pape François en tant que Cardinal Archevêque à Buenos Aires dans les années 2009-2013, lorsque j'étais Supérieur de la Province d'Argentine. Je ne considérerai jamais cette connaissance « anticipée » comme une médaille du mérite. J'ai eu des relations avec l'Archevêque de Buenos Aires de l'époque, comme c'était le cas avec beaucoup d'autres, prêtres et religieux, y compris des Provinciaux. Cependant, pour moi, c'était toujours agréable de l’accueillir chaque 24 mai, lorsqu'il venait à la Basilique de Sainte Marie Auxiliatrice, dans le quartier d'Almagro : ses parents avaient vécu dans ce quartier et il y avait été baptisé.
Les jeunes sont au centre du charisme salésien. Après neuf ans comme Recteur Majeur, vous avez visité près de 120 Pays. Y a-t-il quelque chose de commun à tous les jeunes du monde ?
Oui, les cultures sont différentes, les langues sont différentes, les milieux de vie sont différents. Si l'on compare la vie d'un jeune cambodgien, d'un autre de Madrid, d'un troisième, d'un jeune indien Shuar d'Équateur, la différence est énorme même dans un monde comme le nôtre, défini comme un « village global. » Cependant, après presque dix ans de rencontres dans de nombreux Pays, je suis désormais convaincu d'une chose : tous les jeunes du monde, lorsqu'ils voient qu'un adulte s'approche d’eux avec un regard d'amitié, de cœur ouvert, s'approche en pensant à leur bien et pour être à leur service, se révèlent très accueillants. Les jeunes ne ferment jamais les portes, ils ont un cœur accueillant.
Je pense à beaucoup de jeunes Africains : pourquoi émigrent-ils ? N’y a-t-il pas de réelles possibilités de collaboration au développement de leurs Pays ?
Je suis allé plusieurs fois en Afrique en tant que Provincial, par exemple au Sénégal. Quelle était et reste notre intention ? Offrir aux jeunes une formation adéquate en trois années d'études, pouvoir donner à chacun d'eux une boîte avec le matériel pour pouvoir travailler, afin qu'il leur soit possible de mener une vie digne, de gagner un peu d'argent, de rester en contact avec leur famille. Nous l’avons fait et nous continuons de le faire. En fait, nombreux sont ceux qui n’ont pas émigré, car grâce à nous - et à beaucoup d’autres qui travaillent comme nous - ils ont trouvé une opportunité de vie honorable.
Cependant, si l’on passe au niveau général africain, la situation est différente…
Nous devons contribuer de manière plus incisive au développement de nombreux États africains. Les investissements réalisés par exemple par l'Union Européenne, donnant beaucoup, beaucoup d'argent à tel ou tel Pays pour construire des structures qui ralentissent l'immigration - en bref des camps de migrants - sont voués à l'échec, puisque tôt ou tard les personnes accueillies partiront compte tenu des conditions de vie prévisibles dans le camp. D'un autre côté, l'Union Européenne devrait envisager plus soigneusement et plus sérieusement les investissements dans la formation professionnelle des jeunes, en finançant le réseau de ceux qui travaillent déjà dans ce domaine (je le répète : ce n'est pas seulement nous, nous sommes désormais dans de nombreuses institutions !). C’est, à mon avis, un investissement qui rapporterait de nombreux bons résultats !
Passons à la condition des jeunes européens : leur vie quotidienne est différente de celle de nombreux leurs pairs africains, mais les problèmes auxquels ils sont confrontés sont également complexes, voire dramatiques.
Pour avoir une vision complète de la condition complexe de la jeunesse européenne d'aujourd'hui, qui peut ensuite conduire à la perte de la foi, il faut ajouter un élément essentiel : nous devons nous confronter avec des jeunes fragiles, certes, mais généralement beaucoup plus instruits que les générations précédentes ou au moins potentiellement plus compétent. Ils parlent plusieurs de langues et savent se déplacer beaucoup plus, ils sont flexibles grâce également à l'utilisation de nouveaux outils de connaissances précieux. Et pourtant, cette génération de jeunes porte un rocher sur les épaules : leur avenir...
En effet, comment peuvent-ils planifier leur vie, si beaucoup vivent dans des conditions précaires ?
Selon des données issues d'enquêtes récentes, l'Espagne et l'Italie ont un âge moyen d'émancipation de la famille compris entre 28 ans et demi et 32 ans. Mais à 32 ans, vous êtes un homme ou une femme, vous ne pouvez plus être classé comme jeune ! Vous vivez toujours avec vos parents car vous n’avez aucun moyen de construire votre vie en dehors de votre famille. Bien entendu, il ne s’agit pas seulement de travail, mais aussi de sens de la vie. Parfois, il faut faire des choix... mais, si l'avenir est incertain, on a tendance à les reporter... avec pour conséquence que chez les jeunes, par exemple, le sentiment de maternité et de paternité s'affaiblit.
Et sur le thème de la guerre…
Ce sujet nous fait souffrir. Je pense comme le Pape François et d’autres qui partagent ses pensées : nous vivons une nouvelle guerre mondiale, mais en morceaux. J'ai développé une conviction dans ma vie : aucune guerre n'a de sens.
Dans le débat public, on observe souvent que toutes les guerres ne sont pas identiques...
Je le répète : la guerre est absurde en soi. On peut débattre sur les fautes de l'un ou de l'autre, sur qui a commencé et qui a réagi, sur la férocité du fondamentalisme... mais la question fondamentale (et le constat) reste une seule : combien de morts avons-nous déjà pris sur nos épaules en Ukraine, combien de soldats et de civils ukrainiens et russes ? Et combien de morts de toutes origines et de tous âges avons-nous causé en Terre Sainte avec le terrorisme du Hamas et la réponse d'Israël ? Combien de morts ? Combien de morts ? Des milliers et des milliers. Mais je rappelle que même une seule vie est sacrée.
Pouvons-nous raisonnablement espérer qu’un jour les épées seront transformées en charrues ?
Je me rends compte que tout ce que nous faisons pour investir dans la paix ne suffira jamais. J'en dirai plus : je suis blessé par l'absence d'une action plus ferme, plus déterminée et plus forte en faveur de la paix de la part de nombreux gouvernements, de la part des superpuissances, de la part des organisations internationales. Et à propos de la propagation du terrorisme - nous, les Salésiens, nous en souffrons également en premier lieu en Afrique, avec de nombreuses victimes - je ne peux que le répéter : le terrorisme n'a aucune justification, aucune. Pour conclure : nous devons investir beaucoup plus, non pas dans les armements, mais pour donner à tous la possibilité de vivre dignement dans leur Pays d’origine, en Afrique et au-delà. Dans le cas contraire, les migrations se multiplieront ainsi que les drames humains qui y sont souvent liés. Il n'y a donc pas de temps à perdre : n'investissons pas dans les missiles, mais dans l'éducation et la formation professionnelle des jeunes, surtout là où se fait sentir la pénurie, les empêchant de planifier un avenir de stabilité.