Don Antonio Colbacchini nacque a Bassano del Grappa il 19 febbraio 1881 e morì a Castello di Godego, il 12 marzo 1960. Nel mezzo ci fu tutta la sua vita salesiana, sacerdotale e missionaria.
A 12 anni, presentandosi a Don Michele Rua, I Successore di Don Bosco, si sentì dire “Antonio tu sarai Salesiano e Missionario”. L’anno successivo alla professione perpetua partì con don Giovanni Balzola per il Brasile e vi proseguì gli studi. Costretto a ritornare in Italia a causa di una malattia, riesce a completare gli anni di formazione e ad essere ordinato sacerdote, nel 1903.
Tornato in Brasile iniziò la sua missione tra i Bororos. Ne studiò la lingua e ne scrisse il vocabolario. Per questo i Bororos gli attribuirono affettuosamente il soprannome di Cacìco, cioè di “capo”.
Nel 1949, nonostante l’età avanzata, con coraggio riuscì ad avvicinare e a conoscere la popolazione Xavante: è il primo missionario a prendere contatto con questo gruppo indigeno, che il 1° novembre 1934 anni avevano ucciso don Johann Fuchs e don Pedro Sacilotti.
Don Colbacchini, tornato poi in Italia nuovamente per motivi di salute, prima di morire venne anche insignito dal Governo Brasiliano della massima onorificenza dello Stato: il “Cruzeiro do Sul”.
Missionario coraggioso, innamorato di Don Bosco e di Gesù e animato da spirito intrepido, don Colbacchini era decise a portare il Vangelo anche nelle popolazioni più difficili da avvicinare, raccogliendo testimonianze di importantissimo valore – anche storico ed etnografico – su di esse.
La mostra attualmente in corso a Trieste, presso la Sala Umberto Veruda di Palazzo Costanzi, è frutto dell’impegno dell’artista María Sánchez Puyade. Moglie di un pronipote di don Colbacchini, l’artista nel 2013 stava rovistando nella cantina della nonna di suo marito, quando fece una rilevante scoperta: vide una scatola di legno scuro con due musicisti intarsiati sul coperchio. Dentro, innumerevoli scatole di cartone rosse e nere, e al loro interne, numerose lastre di vetro. Erano dei negativi.
Pulì le lastre una a una, le mise in busta e le archiviò. Aveva 460 lastre circa, quasi tutte dei negativi. Iniziò cosi lo “studium” sul Tempo. Arrivò alla conclusione che l’autore di tutte le lastre 5x4 era sempre la stessa persona, che a volte compariva come un’ombra nei negativi, riconoscibile dal suo cappello da prete. Aveva fra le mani l’archivio fotografico di don Colbacchini, salesiano, missionario, nonché la fonte principale da cui Lévi-Strauss aveva attinto per i suoi studi sui Bororos.
La mostra curata dalla sig.ra Sánchez Puyade vuole essere una sorta di “raccolta” del tempo: il tempo passato a stampare a contatto, con la tecnica della cianotipia, una a una, le 460 fotografie dell’archivio fotografico di don Colbacchini.
di Gian Francesco Romano