I tamponi sono insufficienti, dilaga la disinformazione e molti esperti hanno denunciato la mancanza di sanzioni previste per chi viola la quarantena. Tutto questo si aggiunge alle dichiarazioni negazioniste del Presidente e dei suoi sostenitori, oltre al licenziamento del Ministro della Sanità a causa del suo sostegno alle misure di lockdown.
Lo Stato di Amazonas, con la sua capitale Manaus, il cui Governatore ha minimizzato il virus, è stato identificato come uno tra i più colpiti: attualmente conta oltre 75mila contagiati e 2.862 morti. E l’Amazonas era già uno Stato fra più poveri del Paese, abitato da numerose popolazioni indigene completamente abbandonate dalle autorità governative.
Per questo motivo alcuni leader dei villaggi Yanomani hanno invitato le popolazioni a rifugiarsi nella foresta Amazzonica per allontanarsi dal rischio del contagio, una strategia già messa in atto durante la dittatura militare autoritaria che ha governato il Brasile dal 1964 al 1985. Mentre i membri della tribù Saterè Mawè hanno preparato degli infusi a base di corteccia di alberi, con virtù antiinfiammatorie, tè, menta, mango, aglio e zenzero. Due metodi di autogestione e autoregolamentazione per cercare di ridurre il contagio, difficile da contenere nei villaggi indigeni dove c’è un alto numero di persone che vivono in alloggi comuni e si condividono molti oggetti di vita quotidiana e cibo.
Inoltre, le popolazioni indigene devono affrontare anche un altro problema oggi passato in secondo piano: la deforestazione. La maggior parte delle attività economiche e commerciali sono state bloccate, ma il disboscamento massivo no, non ha subito rallentamenti, anzi è aumentato del 64% nel mese di aprile rispetto allo stesso mese dell’anno scorso – analisi effettuata dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali, grazie alle immagini satellitari sul monitoraggio della foresta Amazzonica.
La situazione descritta fotografa una tragedia che non ha precedenti e che viene raccontata nella lettera di una professoressa di São Gabriel da Cachoeira, rilanciata dal missionario salesiano in Brasile don Roberto Cappelletti:
“L’arrivo del Coronavirus a São Gabriel, il municipio più indigeno del Brasile, era la cosa più temuta. Tutte le istituzioni si sono date da fare per proteggere il municipio (che ha una estensione uguale al Nord Italia) e la sua popolazione. Già dal primo momento sapevamo che non avevamo un ospedale per attendere alle richieste dei possibili contagiati di Covid-19.
Purtroppo, non è stato possibile fermare l’avanzata del virus; nonostante i decreti dello Stato di Amazonas e del Municipio, che hanno chiuso la circolazione di barche, lance e aerei per passeggeri, non si è riusciti a contenere il virus, in quanto sono continuate ad arrivare persone clandestinamente, sia da Manaus, sia da tutto il Brasile. E proprio questi incoscienti hanno portato il virus in terra indigena.
Quando è uscita la notizia del primo caso positivo, molti hanno capito che la situazione poteva precipitare, mentre altri hanno continuato a fare file per le strade, davanti alle banche, per ricevere l’aiuto di emergenza del governo.
Io, particolarmente, ho vissuto il peggior momento della mia vita, perché ho visto amici e colleghi di lavoro sentirsi molto male, con difficoltà di respirazione. Uno di loro, un mio amico professore di 49 anni, non ce l’ha fatta, ed è morto dopo 5 giorni di coma in ospedale a Manaus.
Da quel momento, come professoressa e con nel cuore la voglia di mettermi a servizio per il bene del mio popolo e specialmente delle famiglie dei miei alunni, mi sono resa disponibile per andare per le strade della città di São Gabriel e nei villaggi più distanti, per aiutare in una campagna di sensibilizzazione contro Covid-19. E a tutt’oggi continuo questa che sento come una missione importante. In tantissimi villaggi non c’è acqua, non c’è possibilità di distanziamento sociale e tanto meno di igienizzante o mascherine.
Quello che fa più bene da un lato, ma che preoccupa dall’altro, è il modo di vivere dei più piccoli, i loro sorrisi, la loro poca attenzione a lavarsi… Sono così, siamo così, siamo indigeni, siamo di questa terra, questo virus ce lo hanno portato da lontano e ora abbiamo paura. Sappiamo di avere difese immunitarie basse, di non avere possibilità di trovare un letto in ospedale… Sappiamo che dobbiamo rimboccarci le maniche e lottare, a volte a mani nude, contro questo mostro invisibile. Dicono che sarà una ecatombe di morti qui da noi, io non ci voglio credere, voglio che io e i miei fratelli e sorelle Baniwa, Tukano, Tariano, Baré, Yanomami, Dessano, Hupda ci rendiamo conto che solo rispettando le regole di isolamento e di igiene potremo vincere questa battaglia. Non dimenticatevi di noi indigeni nelle vostre preghiere”.
Ulteriori informazioni sono disponibili su: www.missionidonbosco.org