Primo di dieci figli di una famiglia di contadini e sacrestani, all’età di 10 anni, dopo essere stato quasi sempre malato, Titus guarisce improvvisamente per intercessione di Maria Santissima e in quei giorni, con sorpresa di tutti, le promette di “essere suo figlio per sempre” e diventare sacerdote salesiano. Riesce a realizzare questo sogno nel 1927, dopo aver superato per due anni l’opposizione della famiglia, del parroco e del direttore dell’opera salesiana di Šaštín. La stessa determinazione ritorna nel giovane e nell’uomo Zeman (novizio nel 1931, professo temporaneo nel 1932, professo perpetuo nel 1938 e prete nel 1940).
Quando il regime comunista si instaura nella Cecoslovacchia post-bellica e perseguita la Chiesa, don Titus difende il simbolo del crocifisso (1946), pagando con il licenziamento dalla scuola in cui insegnava. Sfuggito provvidenzialmente alla “Notte dei barbari” e alla deportazione dei religiosi (13-14 aprile 1950), perché in servizio presso una parrocchia diocesana, si chiede cosa possa fare per permettere ai chierici di raggiungere la meta del sacerdozio. Decide allora, non senza sofferenza, di varcare con loro la Cortina di ferro, in direzione di Torino dove il Rettor Maggiore, don Ricaldone, lo accoglie e benedice l’impresa. Dopo due passaggi riusciti (estate e autunno 1950), nell’aprile 1951 la spedizione fallisce.
Don Titus Zeman affronta allora: una settimana di torture tra la cattura e l’arresto (9-16 aprile 1951); ulteriori 10 mesi di detenzione preventiva, pesantemente torturato, sino al processo del 20-22 febbraio 1952; ulteriori 12 anni di detenzione (1952-1964); quasi 5 anni in libertà condizionata, sempre spiato, seguito, perseguitato (1964-1969). Don Zeman è bollato come “m.u.k.l.”, o «uomo destinato all’eliminazione» e sperimenta la vita durissima nelle carceri e nei campi di lavoro forzato.
È costretto alla triturazione manuale e senza protezione dell’uranio radioattivo; trascorre centinaia di giorni in cella di isolamento; è poco curato, in un quadro di crescente compromissione cardiaca, polmonare e neurologica.
Il 10 marzo 1964 ritorna a casa ormai “irriconoscibile”, e vive un periodo di intensa sofferenza anche spirituale per il divieto a esercitare pubblicamente il proprio ministero sacerdotale. Muore – amnistiato in extremis - l’8 gennaio 1969 dopo triplice infarto e dopo essere stato trattato come una “cavia da esperimento”. Lo accompagna anche in morte la fama di martirio e persino le spie presenti ai funerali ne parlano nei verbali come d’un martire che ha tanto sofferto per la Chiesa. Meno di un anno dopo, ancora in pieno comunismo, un processo di revisione (1969) nega la legittimità della sua condanna per spionaggio ed alto tradimento. Nel 1991 il processo di riabilitazione lo riconosce definitivamente innocente.
La testimonianza di don Zeman è l’incarnazione della chiamata vocazionale di Gesù e della predilezione pastorale per i ragazzi e i giovani, soprattutto per i giovani confratelli salesiani, predilezione che si manifesterà, come in Don Bosco, in una vera passione, cercando il loro bene, ponendo in questo tutte le sue energie, tutte le forze, tutta la vita in spirito di sacrificio e di offerta: “anche se perdessi la vita, non la considererei sprecata, sapendo che almeno uno di quelli che avevo aiutato è diventato sacerdote al posto mio”.