Argentina – “Combatto per la vita nel quartiere del ‘grilletto facile’”

06 Febbraio 2017

(ANS – Rosario) – Don Federico Salmerón è un salesiano di 29 anni, con un diploma in prevenzione delle tossicodipendenze. Lo chiamano semplicemente “Chingui” e si occupa dei giovani del quartiere Ludueña, considerato uno dei più pericolosi di Rosario, Argentina. Qui si vive “in un’ombra di morte”, ma lui con altri salesiani mantiene viva la comunità.

Don Federico Salmeron ha studiato per dodici anni prima dell’ordinazione sacerdotale e lavora nella comunità “S. Domingo Savio” di Ludueña, dove ogni giorno i salesiani danno da mangiare, giocano a calcio, insegnano e promuovono la vita attraverso le più svariate attività educative, formali e informali.

“Quando dissi alla mia famiglia che volevo farmi prete, ai miei genitori e a mio fratello andò per traverso il pranzo, adesso sono contenti”. Sua madre, la sera dell’ordinazione, gli raccontò che quando era nato aveva dei serissimi problemi respiratori e lei lo aveva raccomandato a Dio perché lo salvasse.

Racconta che ha voluto essere sacerdote per aiutare soprattutto i ragazzi e i giovani. Che ha già lavorato nei quartieri poveri della Boca e di Isidro Casanova.

Risponde a tutte le domande con serenità, anche a quelle futili che piacciono ai giornalisti: «Credi nel celibato? Ti sei mai innamorato?»

Sì, dice. Pensa che il celibato sia esattamente lo stile di vita consacrata che ha scelto e con il qual vuole esprimere che Dio esiste e il suo amore può riempire una vita. Spiega: «Nel celibato uno dona tutto, anche la sessualità e la paternità biologica che si vive come servizio agli altri. Io lo vivo nella pace e mi sento realizzato».

“Ho scoperto il problema della tossicodipendenza durante gli anni di studio a Cordoba, lavorando nelle villas miseria, dove come salesiani cercavamo di portare una presenza amica e un aiuto concreto, soprattutto con i giovani che corrono il rischio maggiore – racconta –. La tossicodipendenza distrugge le persone e le loro famiglie. La prima cosa da fare con i ragazzi è affiancarli, parlare con loro, condividere qualche esperienza, giocare a calcio e aprire spazi di confidenza che li aiutino a lasciarsi aiutare e incominciare a ripartire, perché solo loro lo possono fare, ma da soli non ci riescono”.

Come sono i ragazzi di Ludueña?

Nel quartiere c’è molta vita e tanta voglia di crescere. Sono ragazzi che non ce l’hanno con noi. Sono ragazzi come tanti. In ognuno c’è bontà e impariamo molto da loro, anche da quelli che sono alla deriva.

Però vivono in un ambiente di esclusione e di violenza che tira fuori il loro lato peggiore. Alcuni hanno i genitori in prigione o non li hanno per niente, tuttavia tentano di uscire dai consumi problematici e dalla violenza e andare avanti. Ma sono invischiati in una realtà orrenda ogni giorno. Pochi giorni fa c’è stata una sparatoria in strada dove giocano bambini di cinque anni. E tutto sembra naturale.

C’è molta violenza domestica, lavoro minorile, maschilismo, abusi, droga e morte. Per molto tempo, qui, la Chiesa è stata lontana dalle zone povere, ma poi per l’impegno di padre Edgardo Montaldo che per quarant’anni ha donato la vita nelle periferie ed è stato un pilastro della promozione umana. Poi grazie alle comunità che hanno seguito il suo esempio si è mosso qualcosa.

C’è denutrizione?

Sì, molti casi specialmente con bambini piccoli. Non riusciamo a dare risposte sufficienti con i nostri pasti perché sono insufficienze profonde. Tuttavia continuiamo ostinatamente, con tanta speranza a lavorare tutti i giorni per evitare che nel quartiere ci siano persone che non possono accedere a un lavoro degno.

Circolano armi nel barrio?

Sì, molte ed è facile averle.

La mortalità è alta?

A Ludueña ci sono moltissime persone oneste e laboriose che sono spaventate dalla violenza e dalla morte così normale e lottano per aumentare la consapevolezza della cura della vita. Ma ci sono anche famiglie che hanno perso una persona cara per l'impunità, la violenza, la droga e il grilletto facile. Ci sono ragazzi che hanno sulle spalle la morte di una persona cara e, siccome non hanno fiducia nella giustizia legale, vogliono farsela da soli. Alcuni sono talmente partiti che vedono la morte come mezzo normale e non rispettano niente e nessuno.

La società pensa al sistema poliziesco e carcerario in termini di repressione e castigo, anche se la Costituzione afferma il contrario. Il sistema non vuole che i colpevoli si riabilitino, ma che marciscano in carcere.

Lorena, un’allieva della scuola “Don Bosco” aggiunge: “Questi ragazzi non trovano lavoro e spesso non ci riescono perché non hanno terminato la scuola. È l’inizio di una catena di rifiuti che si ripetono, portandoli alla totale emarginazione dalla società, che volta la testa e finge che non esistano.

I ragazzi del quartiere hanno anche sogni, hanno tutti tanta bontà nel cuore, anche se a volte si sentono intrappolati in una realtà che li spinge a prendere decisioni sbagliate. Le famiglie lottano ogni giorno per crescere in dignità, mettendo insieme un piatto di cibo per i loro figli, facendo lavoretti e cercando tra i rifiuti”.

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