Dopo gli avvenimenti drammatici cui abbiamo assistito negli ultimi giorni
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19 Luglio 2016

Soprattutto in questa settimana abbiamo assistito ad atti di violenza molto gravi, come quelli avvenuti in Francia, Turchia e Sudan del Sud, e con il primo contrassegnato da una forte componente religiosa, che da credenti ci fa porre dei seri interrogativi:

Che senso ha la morte di tanti innocenti in nome di Dio?

La violenza fa parte della religione?

Qual è il modo corretto di posizionarci in questo clima di violenza?

Queste domande che ci poniamo sono il risultato della nostra vicinanza solidale alle tante famiglie che hanno visto la morte dei loro cari e che ora possono solo piangerli.

Dopo tali fatti una domanda più profonda colpisce il cuore e la mente: quante volte dobbiamo perdonare? Per quanto tempo è possibile perdonare? E si fa presente la tentazione della violenza, di rispondere con la stessa moneta.

Il rifiuto del perdono che costruisce la pace è il rifiuto dell'amore di Dio. “La pace ha un volto e un cuore: il volto e il cuore di Gesù, il Figlio di Dio, che è morto sulla croce ed è risorto proprio per donare la pace ad ogni uomo e a tutta l’umanità. Gesù è «la nostra pace» (Ef 2,14), perché ha abbattuto il muro dell’odio che separa gli uomini tra loro” (Papa Francesco, 11 maggio 2015).

Come cristiani la nostra vocazione ci chiama a costruire spazi e opportunità di vita e di crescita, mai a distruggere; il rifiuto di tutti i tipi di violenza lo facciamo seminando semi di amore.

Nella nostra Famiglia Salesiana sono innumerevoli esempi di persone che si sono impegnati nella costruzione di una cultura di pace e di vita. Solo per citarne alcuni: i nostri fratelli a Giuba, nel Sudan del Sud, che hanno aperto le porte della cappella per accogliere molti sfollati a causa della guerra; i nostri fratelli in Siria, che nel bel mezzo della guerra e della distruzione aprono spazi di gioia e di educazione; i nostri fratelli in Colombia, che educano alla pace e al rispetto gli ex bambini soldato e cercano di offrire loro un futuro migliore.

Erano tempi difficili, tempi di divisione e di guerra nella giovane Italia della fine del XIX secolo. E molti collaboratori continuamente interpellavano Don Bosco a proposito dei loro timori per la fragile situazione della Chiesa del Piemonte. L’opzione che Don Bosco propone è chiaro ed è un modello valido per affrontare tali situazioni: “costruire legami e soprattutto essere famiglia”. Il risultato di questa intuizione è l’Oratorio, che nasce e si consolida come un luogo di incontro prediletto e sede dei bisognosi, uno spazio che supera le divisioni ideologiche e religiose del momento e apre le porte per diventare una casa per tutti. L’oratorio è un modello di dialogo e di convivenza per tutti e allo stesso tempo, è una vocazione al servizio. 

InfoANS

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